Separazione, abbandono della casa coniugale e onere della prova Cassazione civile ordinanza n.1785 2021

Separazione, abbandono della casa coniugale e onere della prova Cassazione civile ordinanza n.1785 2021

Con l'ordinanza n. 1785/2021 la Corte di Cassazione si pronuncia in merito alla ripartizione dell'onere della prova nell'ipotesi di abbandono della casa coniugale da parte di uno dei due coniugi ai fini della pronuncia di addebito della separazione. Il caso: La Corte di appello di Milano, in parziale accoglimento dell'impugnazione dal Tizia proposta avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio - che aveva dichiarato la separazione personale tra la ricorrente ed il coniuge con addebito alla prima e rigetto delle domande di natura economica – modificava la disciplina delle spese di lite di primo grado, che parzialmente compensava nella misura di un terzo, nel resto confermando le statuizioni di primo grado. Tizia ricorre in Cassazione, lamentando violazione o falsa applicazione dell'articolo 156 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la Corte di appello aveva addebitato la separazione alla ricorrente per essersi costei allontanata dalla casa coniugale, in violazione del principio secondo il quale il coniuge che richieda pronuncia di addebito della separazione ha l'onere di provare il rapporto di causalita' tra la violazione imputata e l'intollerabilita' della convivenza, gravando invece sull'altra parte la prova della giusta causa. Per la Cassazione il motivo è inammissibile: sul punto la Suprema Corte ribadisce il seguente principio di diritto: a) il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, costituendo violazione del dovere di convivenza, e' di per se' sufficiente a giustificare l'addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso e' stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era gia' divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto; b) nel giudizio di separazione personale la distribuzione dell'onere della prova vuole che la parte che promuove domanda di addebito deve provare l'allontanamento dal domicilio coniugale dell'altra che, a sua volta, per evitare l'addebito deve provare che l'allontanamento sia conseguenza della gia' intervenuta intollerabilita' della prosecuzione della convivenza. c) l'allontanamento del coniuge dalla casa coniugale, se non assistito da una giusta causa, costituisce violazione dell'obbligo di convivenza e in tal caso il richiedente non e' tenuto neppure a provare il rapporto di causalita' tra la violazione e l'intollerabilita' della convivenza; e' invece l'altra 19/3/2021 Separazione, abbandono della casa coniugale e onere della prova https://news.avvocatoandreani.it/articoli/separazione-abbandono-della-casa-coniugale-onere-della-prova-106153.html 2/2 parte a dover provare la giusta causa dell'allontanamento (dovuta ad un comportamento negativo dell'altro coniuge o ad un accordo tra i coniugi destinati a dar vita ad una separazione di fatto in attesa di successiva formalizzazione).

Possibile rivedere l'importo dell'assegno in caso di mantenimento diretto della prole

La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 3203 del 10 febbraio 2021 si pronuncia in merito alla ammissibilità di una rivisitazione dell'assegno a carico del genitore non collocatario in caso di mantenimento diretto dei figli. Il caso: La Corte d'appello di Venezia - nell'ambito di una controversia avente ad oggetto la richiesta di Tizio di modifica delle condizioni di affidamento e mantenimento delle figlie minori, nate dall'unione more uxorio con Caia, con collocamento delle stesse presso di sé (domanda in seguito rinunciata) ovvero, in subordine, di riduzione del mantenimento,fissato originariamente in € 750,00/820,00 mensili - confermava la decisione di primo grado, che aveva mantenuto la collocazione prevalente delle figlie minori presso la madre, con diversa determinazione delle modalità di frequentazione e soggiorno delle stesse presso il padre (essenzialmente, due pomeriggi infrasettimanali, weekend alternati con due pernottamenti,metà delle vacanze natalizie, pasquali e di carnevale, quindici giorni di vacanze estiva), e aveva però ridotto il contributo al mantenimento a carico del padre ad € 380,00 mensili per il periodo scolastico (essendo le minori iscritte ad educandato statale, in regime di convitto) ed ad € 700,00 mensili per il periodo estivo, disponendo il mantenimento diretto delle figlie da parte del padre nel periodo in cui le figlie stavano presso di lui. La Corte d'appello motivava la decisione rilevando che la riduzione del contributo si poteva giustificare con l'ampliamento del diritto di visita del padre e con il regime di mantenimento diretto della prole, non trascurando il fatto che le minori vivevano molte ore in un educandato. La madre ricorre in Cassazione, che, nel respingere il ricorso, rileva quanto segue: a) l'art.337 quinquies c.c., contempla la possibilità per ogni genitore di chiedere la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e modalità del contributo; b) ne consegue che Tizio aveva il pieno diritto di chiedere, in considerazione anche delle diverse esigenze e necessità delle figlie conseguenti alla loro crescita, una modifica delle condizioni di frequentazione delle figlie minori e la modifica anche delle disposizioni relative alla misura del 19/3/2021 Possibile rivedere l'importo dell'assegno in caso di mantenimento diretto della prole https://news.avvocatoandreani.it/articoli/possibile-rivedere-importo-dell-assegno-caso-mantenimento-diretto-della-prole-106120.html# 2/2 contributo al loro mantenimento, che è stata richiesta anche sulla base di una diminuita capacità reddituale del medesimo, rimasta indimostrata; c) peraltro la suddetta richiesta è stata accolta, tenuto conto della rimodulazione del diritto di visita e frequentazione delle minori da parte del padre e del relativo obbligo di mantenimento diretto durante i suddetti periodi.

Sinistri stradali e obbligo di comunicazione alla assicurazione a carico del danneggiato

La Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 1699/2021, si pronuncia in merito alle conseguenze derivanti dal mancato invio della raccomandata con la richiesta risarcitoria alla compagnia di assicurazione da parte del danneggiato in un sinistro stradale. Il caso: Tizia, nel denunciare Caio, esponeva di avere riportato lesioni personali e danni materiali nell'incidente stradale in cui, mentre era alla guida dell'Audi A3, nell'intento di sorpassarla, la Renault Clio condotta da Caio, di proprieta' di Sempronio, assicurata dalla Delta Ass.ni, le tagliava improvvisamente la strada per svoltare a sinistra in una stradina di campagna non segnalata. Caio, imputato avanti al Giudice penale di Pace di Montefiascone per rispondere del reato di cui all'articolo 590 c.p., veniva assolto; il Tribunale Penale di Montefiascone, investito del gravame ai soli effetti civili dall'odierna ricorrente, costituitasi parte civile, riformava la sentenza di prime cure, riteneva Caio responsabile nella misura dell'80% del verificarsi dell'incidente, lo condannava in solido con Delta Ass.ni, responsabile civile, al risarcimento dei danni a favore della parte civile, rimetteva la liquidazione degli stessi ad altra separata sede. Tizia quindi proponeva ricorso ex articolo 702 c.p.c. dinanzi al Tribunale per ottenere la liquidazione del danno; a seguito di dichiarazione di incompetenza, il giudizio veniva riassunto avanti al Giudice di Pace, che, in parziale accoglimento della domanda attrice, accertata la pari responsabilita' dei conducenti nella causazione del sinistro, condannava in solido i convenuti a risarcire Tizia al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 4.497,92. Tizia ricorre in appello: il Tribunale, accogliendo l'eccezione di improcedibilita' della domanda per non avere Tizia inviato la preliminare richiesta risarcitoria alla compagnia di assicurazioni, nelle forme previste dal Codice delle Assicurazioni Private, articoli 145, 148 e 149, dichiarava improcedibile la domanda. Tizia propone ricorso per Cassazione, rilevando che l'invio della richiesta, oggetto di eccezione, avrebbe dovuto, nel caso concreto, essere considerata ultronea, atteso che: la compagnia di assicurazione, prima che fosse incardinato il giudizio civile, aveva ricevuto un atto, il cui contenuto, sia con riferimento all'oggetto della richiesta sia con riferimento alle 19/3/2021 Sinistri stradali e obbligo di comunicazione alla assicurazione a carico del danneggiato https://news.avvocatoandreani.it/articoli/sinistri-stradali-obbligo-comunicazione-alla-assicurazione-carico-del-danneggiato-106113.html# 2/2 ragioni della domanda, era da ritenersi piu' esaustivo rispetto a quanto prescritto dal Codice delle Assicurazioni; infatti nell'ambito del precedente processo penale, la compagnia era stata citata in giudizio quale responsabile civile, ricevendo atto di citazione a giudizio, nel quale risultavano descritte l'intera dinamica del sinistro, le ragioni e l'entita' della richiesta di risarcimento articolata della parte civile costituita. Per la Cassazione, la doglianza è fondata e merita accoglimento: sul punto osserva che: a) ove l'istituto assicuratore venga a conoscenza della pretesa risarcitoria aliunde, anche in assenza della raccomandata di cui al Codice delle Assicurazioni Private, articolo 148, si deve ritenere che la ratio di tale norma sia stata egualmente soddisfatta; b) l'onere imposto al danneggiato può ritenersi soddisfatto anche con atti equipollenti alla raccomandata, purche' altrettanto idonei al soddisfacimento dello scopo perseguito: quello di consentire all'assicuratore di valutare l'opportunita' di un accordo con il danneggiato e prevenire premature domande giudiziali, con conseguente dispendio economico, ove l'assicuratore sia stato messo a conoscenza del sinistro, della volonta' del danneggiato di essere risarcito ed abbia potuto valutare le responsabilita' e la fondatezza delle richieste;

Vale come atto interruttivo della prescrizione la diffida ad adempiere inviata all’avvocato del debitore

Si deve ritenere, in termini generali, che l'atto di costituzione in mora ha efficacia interruttiva della prescrizione anche quando sia indirizzato al rappresentante del debitore. Ne consegue che l'avvocato, rispondendo in nome e per conto del debitore, essendo un suo rappresentante diretto, si atteggia quale alter ego di una delle originarie parti negoziali e, pertanto, è legittimato a ricevere quegli atti (ivi compresi quelli valevoli per l’interruzione dei termini prescrizionali) che il creditore ha interesse a trasmettere a tutela dei propri interessi. Aggiungo, altresì, che non è necessario, nell'ambito stragiudiziale, che la procura sia stata lasciata in forma scritta ai sensi dell'art. 38 c.p.c. qualora non vi sia possibilità di dubbio sull'effettivo conferimento del mandato all’avvocato da parte del cliente (debitore). E’ plausibile pertanto, anche confortato da alcune pronunzie di legittimità (da ultimo: Cass., 5 dicembre 2011, Sez. III, n. 25984), affermare il principio di diritto, di portata generale, secondo cui il termine di prescrizione è interrotto anche quando la lettera di messa in mora è inviata al rappresentante del debitore e non direttamente a quest’ultimo. Infatti, il rappresentante effettivo deve ritenersi anche l’avvocato il quale abbia difeso stragiudizialmente il debitore contro le richieste di adempimento del creditore. Oltretutto, l’atto interruttivo della prescrizione trova efficacia nella sfera soggettiva del debitore, anche se trasmessa al suo avvocato, in quanto di esso doveva esserci conoscenza o conoscibilità da parte del debitore secondo un principio di deontologia forense. Ai sensi dell’art. 27 del codice deontologico forense, incombe sul difensore un dovere di informazione in favore del proprio assistito di ogni evento significativo riguardante l’incarico ricevuto e che possa condizionare gli affari e/o gli interessi del medesimo cliente per i quali si è conferito mandato. Qualora, quindi, il creditore abbia trasmesso al debitore, per il tramite del suo avvocato, un atto di diffida valevole anche per l’interruzione prescrizione (ex art. 2943 c.c.), il procuratore ha il dovere di comunicarlo al vero destinatario ossia al proprio cliente. Il ragionamento e le conclusioni innanzi riportate, richiamano oltretutto importanti ed autorevoli precedenti giurisprudenziali che hanno ritenuto efficace sia l’atto di costituzione in mora inviato dal difensore del creditore (Cass. Civ. Sez. Lav. 22 febbraio 2006 n. 3873), sia quello ricevuto dal 19/3/2021 Vale come atto interruttivo della prescrizione la diffida ad adempiere inviata all’avvocato del debitore https://news.avvocatoandreani.it/articoli/vale-come-atto-interruttivo-della-prescrizione-diffida-adempiere-inviata-allavvocato-del-debitore-106109.ht… 2/2 difensore del debitore (Cass. Civ., Sez. III, 28 agosto 2003 n. 12617) proprio in base al principio per cui il difensore è da ritenere legittimato a rappresentare la parte per aver condotto a suo nome il tentativo di conciliazione.

Caduta su strada sconnessa: ente responsabile anche in caso di condotta incauta del danneggiato

Con l'ordinanza n. 456/2021 la Corte di Cassazione chiarisce in quali circostanze la responsabilità del custode viene esclusa dalla condotta della persona danneggiata. Il caso: Con atto di citazione la signora C.S.P. conveniva, davanti al Tribunale di Napoli, il Comune della stessa città chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. o, in subordine, ex art. 2051 c.c. per l'infortunio, consistente nella frattura di una vertebra lombare, riportato in conseguenza di una caduta allorchè, mentre attraversava la strada, finiva con il piede in una pozzanghera d'acqua che celava una buca contenente cubetti di porfido malfermi, a causa dei quali perdeva l'equilibrio e cadeva sulla schiena. Il Tribunale di Napoli, ritenuta raggiunta la prova in ordine alla situazione di insidia o trabocchetto, accoglieva la domanda ex art. 2043 c.c. condannando il Comune al risarcimento del danno. La Corte d'Appello, adita dal Comune, ritenuto che la fattispecie dovesse essere fatta rientrare nell'alveo dell'art. 2051 c.c. , in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda attorea; sul punto osservava che: a) la pronuncia di primo grado era censurabile per non aver richiamato i principi e gli insegnamenti giurisprudenziali in punto di autoresponsabilità dell'utente di strade demaniali che, ove considerati, avrebbero dovuto condurre il giudice a ritenere esigibile, da parte della danneggiata, una condotta più prudente evitando di poggiare il piede proprio nella buca ricolma d'acqua; b) il giudice di primo grado avrebbe dovuto quindi considerare l'efficienza del comportamento imprudente della vittima nella produzione del danno che si atteggia a concorso causale colposo valutabile ai sensi dell'art. 1227 c.c. fino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta omissiva dell'ente proprietario della strada e l'evento dannoso integrando gli estremi del fortuito. La danneggiata ricorre in Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, - la violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 c.c. con riguardo all'art. 360 c.p.c.,: la sentenza d'appello erroneamente ha ritenuto interrotto il nesso eziologico tra la condotta della danneggiata ed il danno, senza dare la prova del fortuito che avrebbe dovuto consistere in una condotta autonoma, eccezionale, imprevedibile e colposa della vittima; 19/3/2021 Caduta su strada sconnessa: ente responsabile anche in caso di condotta incauta del danneggiato https://news.avvocatoandreani.it/articoli/caduta-strada-sconnessa-ente-responsabile-anche-caso-condotta-incauta-del-danneggiato-106098.html# 2/2 - la violazione e falsa applicazione dell'art. 1227 c.c., comma 1: la sentenza ha mal applicato la disposizione indicata in epigrafe perchè non avrebbe posto in relazione la presunta violazione del dovere di cautela incombente sulla danneggiata con la violazione degli obblighi di custodia che gravano sull'ente. Per la Cassazione il ricorso è fondato: in merito alla responsabilità per cose in custodia, vengono ribaditi i seguenti principi: a) la norma configura un caso di responsabilità oggettiva del custode e prevede che il danneggiato debba limitarsi a provare il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno, spettando al custode la prova cd. liberatoria mediante dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità; b) l'ente proprietario della strada supera la presunzione di colpa quando la situazione che provoca il danno si verifica non come conseguenza di un difetto di diligenza nella sorveglianza della strada ma in maniera improvvisa e per colpa esclusiva dello stesso danneggiato; c) il Comune avrebbe dovuto dimostrare che il fatto della stessa danneggiata nel caso in esame avesse i caratteri dell'autonomia, eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità e che fosse da solo idoneo a produrre l'evento, escludendo i fattori causali concorrenti; d) peraltro, se il fatto colposo del danneggiato può concorrere nella produzione dell'evento, il fatto che una strada risulti "molto sconnessa" con buche e rattoppi, indice di cattiva manutenzione non costituisce un'esimente per l'ente pubblico in quanto il comportamento disattento e incauto del pedone non è ascrivibile al novero dell'imprevedibile; e) l'ente proprietario di una strada si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanente connesse alla struttura ed alla conformazione della stessa e delle sue pertinenze, fermo restando che su tale responsabilità può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell'art. 1227 c.c.


Mancato pagamento di un affitto commerciale: l'avvocato risponde

Roberta motta risponde alla domanda "Mancato pagamento di un affitto commerciale: l'avvocato risponde".

 

Di seguito il link: https://www.viverepesaro.it/2021/01/12/mancato-pagamento-di-un-affitto-commerciale-lavvocato-risponde/883586/


L'avvocato risponde: mancato pagamento di un affitto commerciale

Roberta motta risponde alla domanda "L'avvocato risponde: mancato pagamento di un affitto commerciale".

 

Di seguito il link: https://www.viverefano.com/2021/01/12/lavvocato-risponde-mancato-pagamento-di-un-affitto-commerciale/883585/


Addebito della separazione al padre che si disinteressa della figlia malata Cassazione ordinanza n. 27235/2020

Addebito della separazione al padre che si disinteressa della figlia malata Cassazione ordinanza n. 27235/2020

Confermato dalla Cassazione l'addebito della separazione al padre che si disinteressa della figlia autistica e non se ne vuole occupare.

Per la Cassazione, che si pronuncia con l'ordinanza n. 27235/2020 su una situazione familiare complessa e delicata, è corretto addebitare la separazione al marito e padre che si disinteressa completamente della malattia da cui è affetta la minore e che va via di casa dopo un litigio con il suocero perché in disaccordo sulle cure della minore. Gli Ermellini ricordano infatti che l'abbandono del tetto coniugale è motivo sufficiente per l'addebito perché rende impossibile la convivenza.


Omissione del medico: la probabilità statistica non basta Corte di cassazione sentenza n. 33230/2020

Omissione del medico: la probabilità statistica non basta Corte di cassazione sentenza n. 33230/2020

La Cassazione ricorda che, nel reato colposo omissivo improprio, l'accertamento del nesso di causalità richiede un giudizio di alta probabilità logica

L'accertamento della responsabilità del medico per reato colposo omissivo improprio può ritenersi sussistente solo se il giudice, ipotizzando come avvenuta l'azione che il sanitario non ha tenuto ma che sarebbe stata doverosa, dopo aver escluso l'interferenza di decorsi causali alternativi, rilevi che l'evento non avrebbe avuto luogo o avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

A tal fine, è in ogni caso indispensabile un "elevato grado di credibilità razionale".

Ad averlo recentemente ricordato è stata la Corte di cassazione che, nella sentenza n. 33230/2020 ha anche specificato che il medico va invece assolto se permane il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della sua omissione rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo.

In altre parole, se dall'evidenza disponibile il nesso causale risulta incerto e vi sono elementi probatori insufficienti e contraddittori, il sanitario non può essere condannato.

Responsabilità medica e meccanismo controfattuale
I giudici sono quindi tornati a soffermarsi sul meccanismo controfattuale indispensabile per dimostrare l'effetto salvifico delle cure che il medico ha omesso, che non si può fondare solo su "affidabili informazioni scientifiche" ma deve anche considerare le "contingenze significative del caso concreto".

Nel corso del giudizio, quindi, occorre necessariamente considerare:

qual è l'abituale andamento della patologia accertata;
qual è la normale efficacia delle terapie;
quali sono i fattori che di solito influenzano il successo degli sforzi terapeutici.
Solo in tal modo si può stabilire qual è stato l'effettivo rilievo condizionante della condotta umana sull'evento dannoso.


Mobbing dei colleghi: paga il datore sentenza n. 27913/2020 la Cassazione

Mobbing dei colleghi: paga il datore sentenza n. 27913/2020 la Cassazione

Secondo la Cassazione il datore di lavoro, nella sua posizione di garante, deve intervenire per tutelare la lavoratrice mobbizzata dai colleghi prevaricatori.

Con la sentenza n. 27913/2020 la Cassazione ribadisce e delinea la responsabilità del datore di lavoro, che in qualità di garante, è tenuto a intervenire per tutelare la lavoratrice mobbizzata dai colleghi, nel rispetto di alcuni importanti principi sanciti dalla Costituzione e dal Codice civile.

Ai fini del decidere la Corte attribuisce particolare rilievo al fatto che la società datrice, anche se a conoscenza dei vari episodi mobbizzanti messi in atto da un collega, di fatto non ha mai indagato la questione né ha adottato i dovuti provvedimenti disciplinari nei confronti dei responsabili.

Il giudice ritiene inoltre provato l'elemento soggettivo dell'illecito dall'offensività dei termini utilizzati dai colleghi e dalle accuse infondate dirette alla lavoratrice, dalle quali emerge una volontà di prevaricazione nei suoi confronti. Ritiene infine responsabile il datore, in quanto, anche se non si è reso protagonista delle condotte vessatorie denunciate dalla lavoratrice, di fatto è venuto meno agli obblighi di tutela contemplati dall'art. 2087 c.c. che così dispone: "L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.